Paesaggi
“Ogni essere è specchio di esseri furtivi. Ombre passano incessanti sulle nostre facce e sono tanti visi di esseri che non esistono più e attraverso di noi risuonano. È con tutto il corpo e con tutta l’opera che cercando di tacerli, di farli tacere, li esprimiamo”. Da queste parole di Pascal Quignard possiamo partire per commentare l’ultima mostra di Paola Mongelli Quale terra. Ci accolgono, nella galleria torinese Paolo Tonin, delle sequenze, a colori, di passi in imminenza di un cammino. Sono corpi, ricchi di vibrazioni pittoriche, che non galleggiano nell’acqua o nell’aria ma stanno proprio per camminare Non compiono ancora l’atto. La fotografa li esplora l’attimo prima, mentre sorgono dalla loro immobilità, dentro un colore che contrasta con il bianco e il nero che, fino ad oggi, ha accompagnato la drammatica fotografia di Paola Mongelli. Qui le ombre sono un ricordo. Non c’è nostalgia del nero antico. Il verde, il rosso, l’azzurro, compongono il miraggio reale di un’andatura futura. E la mostra, fatta di corpi che studiano il loro esistere nel mondo, colti nell’inizio di un passo verso qualche terra sognata o reale, è una lunga sequenza musicale, un tema con variazioni dove il tema pare dissolversi nelle sue stesse variazioni. Come se un uccello stesse per lasciare il ramo e il ramo cominciasse già prima a vibrare di quel volo futuro, imprevedibile. Ma qui il volo è il pensiero del proprio corpo, è l’attenzione alle proprie radici, è vedere i piedi che si muoveranno e inizieranno a camminare inoltrandosi in un chiarore più misterioso delle ombre che lo hanno preceduto: è vedere se stessi nella profondità dello spazio che occupiamo, non come macchie vaghe e disperse nell’atmosfera ma come corpi reali determinati e modellati dalla forza plastica del proprio sogno. Alla fine della mostra, lo spettatore ricorderà alcuni indimenticabili paesaggi pittorici, che per esistere hanno avuto bisogno della mente e della mano di una fotografa.
Marco Ercolani
Ottobre 2015